Non ricordo di essere mai stato sotto il vecchio “Ponte Morandi”.
Nemmeno quando frequentavo le numerose piscine di Genova, tra gare di nuoto e partite di pallanuoto.
Sopra invece c’ero transitato tante volte, in auto, prima del 14 Agosto 2018.
La prima volta che ci sono passato sotto è stato il 13 Giugno 2019, durante un sopralluogo per programmare il rilievo tridimensionale delle pile 10 e 11 della vecchia struttura.
Venerdì 28 Giugno 2019 sarebbero state demolite con un’esplosione controllata.
Questo è il primo di alcuni articoli che raccontano la mia esperienza nella demolizione del ponte Morandi e nella ricostruzione del nuovo ponte Genova San Giorgio.
E’ una storia lunga più di un anno.
E’ stato bello, sfidante, a volte emozionante, a tratti molto stressante e spesso faticoso.
E come ogni storia mi ha insegnato qualcosa.
In questo capitolo ti racconto del rilievo fotogrammetrico delle vecchie pile (e di pezzi di impalcato), prima e dopo la loro demolizione.
Con una piccola parentesi durante (l’esplosione).
UN INCARICO ESTERNO
Tutte le mie attività nel cantiere del nuovo ponte le ho fatte per conto di RINA (nello specifico RINA Consulting e RINA Service).
Nella realizzazione di quest’opera RINA si è occupata di tutto il “project management”, della direzione lavori e del coordinamento per la sicurezza, sia nella fase di demolizione che durante la ricostruzione.
RINA ha lavorato a strettissimo contatto con il Commissario per la ricostruzione (Marco Bucci) e con tutto lo staff della Struttura Commissariale, così come con le ditte in cantiere: demolitori prima e costruttori poi.
Per fare tutte queste attività, per niente banali, si è avvalsa di risorse interne e collaboratori esterni.
Io sono stato tra questi.
Da ligure e da tecnico, sono molto orgoglioso e felice di aver dato il mio (piccolo) contributo in quest’opera.
RINGRAZIAMENTI ANTICIPATI
Di solito i ringraziamenti si fanno alla fine.
Ma a volte alla fine di un articolo (lungo) non ci arrivano tutti.
Ed allora ci tengo a ringraziare subito e su tutti Cinzia Pica, proprio di RINA.
Mi ha introdotto e spiegato il cantiere e mi ha accompagnato in tutte le tappe di questa avventura.
Si è sempre fidata del mio lavoro (anche in situazioni a volte delicate), ha ascoltato proposte e sposato idee, proponendone a sua volta, in un dialogo molto collaborativo e mai subordinato “da committente verso esecutore”, ha risolto problemi e lavorato con grandissima professionalità e dedizione.
Ha gestito aspetti tecnici e di comunicazione, introducendo strumenti e metodi di analisi “nuove” in un cantiere così complesso, senza risparmiarsi i weekend, Natale, Capodanno, Pasqua, Ferragosto…
Ci sono altre persone che ringrazierò in questo articolo ma lo farò durante la scrittura.
Questo però ci tenevo a farlo subito!
UNA PREMESSA (DOVEROSA)
Nessuno (spero) dimentica quello che è successo quel 14 Agosto 2018.
Io ricordo bene dov’ero quando ho sentito la notizia del crollo.
Ci sono, prima di tutto, le vittime del disastro e le loro famiglie.
Poi ci sono le indagini, le responsabilità e tonnellate di discussioni online.
In questo (e nei prossimi articoli) non leggerai niente di ciò.
Non perché non mi interessi o non sia importante.
Lo è, parecchio.
Ma perché voglio raccontarti il lavoro tecnico che ho fatto in questo cantiere, evidenziandone le criticità, le difficoltà e parlandoti dei risultati.
Nello stesso modo in cui lo farei per un altro cantiere.
Questo cantiere era diverso?
Senza dubbio!
Ma in fondo ogni situazione è diversa dalle altre.
Non dimentico quello che è successo.
Ma non lo ricorderò altre volte qui…
IL MODELLO 3D DELLE PILE 10 E 11 DELL’EX PONTE MORANDI
La prima fase del mio lavoro ha riguardato il rilievo 3D delle vecchie pile del Ponte Morandi, 10 e 11, ancora in piedi, e prima della loro demolizione.
Dopo (ma sempre nella prima fase) c’è stato, di nuovo, il rilievo, 3D, delle loro macerie post esplosione.
Siamo nella zona di Levante, proprio vicino al tratto di A12 che porta all’uscita di Genova Ovest.
Per farlo, in entrambe i casi, ho usato la fotogrammetria, scattando immagini (principalmente) da drone e (un po’) da terra, prendendo misure topografiche e mescolando tutto insieme in un software “structure from motion”.
Sul motivo per il quale servisse questo tipo di rilievo so dirti poco.
Si tratta di decisioni della Struttura Commissariale, di supporto alla Procura della Repubblica, legate anche alle indagini (tante) che si sono condotte nel tempo.
Serviva avere una memoria digitale di quella parte della struttura, che fosse sempre “ispezionabile” ed interrogabile, prima della sua definitiva scomparsa, e di anche avere un supporto per analisi quali-quantitative sulla dinamica del crollo oltre che poter dare il via libera all’ingresso dei mezzi in cantiere.
Non ho molte informazioni in più.
TEMPI STRETTI E NESSUN MARGINE DI ERRORE
I tempi stretti hanno caratterizzato quasi tutte le operazioni in questo cantiere (non solo le mie!), unico nel suo genere e per il contesto in cui si trova.
Questi rilievi non hanno fatto eccezione.
Avevo a disposizione solo una giornata per i rilievi dello stato attuale.
Quella del 20 Giugno 2019.
Nei giorni successivi le aree di cantiere sarebbero state progressivamente ed inderogabilmente chiuse perché gli artificieri avrebbero iniziato a caricare di esplosivo ed attrezzare le “micce” sulla struttura.
Il tutto è culminato con l’evacuazione TOTALE di tutte le abitazioni vicine al ponte nel giorno precedente l’esplosione.
Questo è stata la prima volta in cui, sul lavoro, ho sentito nettamente la pressione per il fatto di non avere una seconda possibilità.
Se sbaglio un rilievo, in una cava, su una frana o in un altro contesto, che non deve subire trasformazioni radicali a breve, ho sempre il “Piano B”: torno il campo e lo rifaccio.
Ok, non dovrebbe mai succedere, ci perdo tempo (e quindi soldi), ma alla fine il risultato ha sempre la precedenza e sapere che hai comunque un’opzione, anche se un po’ estrema, dà un po’ di tranquillità.
Qui non sarebbe andata così.
Doveva essere, per forza, “buona la prima”.
E questo aumentava un po’ la tensione.
Lavorare sotto pressione non mi dispiace.
Se la canalizzi e ne prendi la parte positiva funziona da stimolo ed il risultato può essere anche molto buono.
Credo che aver fatto tanto sport agonistico (anche non più da giovanissimo) e tutti gli esami universitari delle vecchie Lauree Magistrali (corsi semestrali senza compiti e verifiche intermedie) mi abbiano aiutato nella gestione dello stress “buono”.
AEROFOTOGRAMMETRIA + FOTOGRAMMETRIA
La tecnica che ho scelto per fare questi rilievi è stata quella fotogrammetrica con immagini scattate sia da drone che da camera terrestre.
Immaginandomi le macerie a terra dopo il crollo faccio fatica a trovare una tecnica migliore dell’aerofotogrammetria da drone.
Muoversi non sarebbe stato semplice e molte aree sarebbero state inaccessibili, un po’ per oggettivi limiti fisici e di sicurezza ed un po’ per specifici divieti delle Autorità competenti.
Il rilievo delle pile in piedi sarebbe stato forse più efficace farlo con un laser scanner terrestre.
C’erano però tre problemi legati ad un suo ipotetico uso:
- la disponibilità strumentale in tempi brevissimi (al tempo non avevo ancora abbracciato il laser scanning);
- la necessità di operare velocemente senza nessuna possibilità di fermare tutto o parte del cantiere per non interferire con le misure;
- l’inaccessibilità completa di alcune parti (tutta la parte superiore delle strutture a “cavalletto” e dei tiranti in corrispondenza di ciascuna pila).
Ed allora ho deciso di usare la fotogrammetria.
Un drone mi avrebbe permesso di coprire le parti nascoste e di effettuare l’acquisizione dei dati in campo piuttosto velocemente.
Con una camera terrestre sarei potuto andare sotto la struttura dell’impalcato e delle pile e fare fotografie dal basso verso l’alto.
Questo avrebbe significato un bel po’ di tempo nell’elaborazione dei dati.
Avrei avuto fotografie da sensori diversi, da elaborare separatamente e poi unire.
Mi sarei trovato con un bel po’ di rumore e sporco nella nuvola di punti, che avrei dovuto sezionare e pulire con cura e calma.
Meno tempo in campo significa, molto spesso, più tempo ad elaborare i dati.
Ogni lavoro ha le sue esigenze, che comportano scelte operative.
Non c’era necessità di avere un output con accuratezze millimetriche.
5 cm sarebbero stati sufficienti e qui c’erano le condizioni per farcela.
IL RILIEVO DELLE PILE IN PIEDI
Se hai già letto altri articoli di questo blog, non c’è molto da aggiungere ai racconti di altri rilievi fotogrammetrici che puoi leggere in queste pagine.
Se invece non l’hai mai letto, mi sembra giusto farti un riassunto.
TARGET A TERRA
La prima cosa che ho fatto è stato mettere dei target a terra.
In tutta l’area del cantiere ed in ogni zona accessibile.
La vecchia struttura del ponte si sviluppava in piano ma anche in elevazione.
Era importante quindi mettere dei target non solo al livello del terreno ma anche sull’impalcato calpestabile.
E così ho fatto.
Ho messo a terra target a perdere in carta, di dimensioni 70×70 cm, stampati su fogli 100×70.
Ho scelto la carta per velocizzare ancora di più le operazioni in campo.
Non avrei dovuto ritirarli e non sarebbe stato un problema sbarazzarsene insieme alla macerie del crollo.
Ho rilevato le coordinate dei target con un’antenna GNSS in modalità nRTK.
Le condizioni per usare un solo ricevitore satellitare in nRTK qui erano ottime.
- La connessione GPRS per ricevere le correzioni differenziali era forte e stabile.
- La vista della volta celeste era altrettanto buona (a patto di non infilarsi sotto la struttura del vecchio impalcato).
- La distanza dalla base fissa più vicina (quella di Genova) era davvero breve: meno di 5 km.
Il ricevitore era sempre in “fixed mode” con precisioni molto buone per questo tipo di misura: 1-2 cm sulla posizione planimetrica e 2-3 cm sulla quota.
Rilevare le coordinate di 40 target è stato veloce!
VOLO MANUALE
Ho scattato fotografie nadirali, oblique, frontali ed anche inclinate verso l’alto.
Se per le foto nadirali c’era qualche chance (in realtà poche) di poter programmare una missione automatica, per tutte le altre no.
Ed allora ho volato sempre in manuale.
Ho lasciato perdere la programmazione anche per le foto nadirali.
L’impalcato del vecchio ponte Morandi era a 45 metri da terra.
La parte superiore arrivava a 90 m dal piano campagna.
Ed i software di mission planning non hanno questo genere di informazioni, trattandosi di strutture e non di terreno (DTM).
Meglio volare a mano.
Ci avrei messo un po’ più di tempo ma sarei stato più sicuro di avere tutte le foto necessarie all’elaborazione.
INTEGRAZIONE DI FOTO TERRESTRI
Visto che avrei dovuto modellare anche gli “intradossi” dell’impalcato e delle pile, ho aggiunto, al dataset di immagini da drone, anche una serie di foto prese con camera terrestre, muovendomi a terra e scattando, principalmente, con il naso ed anche l’obiettivo della camera fotografica, all’in su…
Ne ho fatto un po’: sotto la pila 10, sotto la 11 e sotto i tronchi di impalcato, avendo l’accortezza di inquadrare anche aree coperte dal rilievo aerofotogrammetrico con drone, in modo da unire i modelli 3D risultanti dalle due elaborazioni.
ELABORAZIONE DATI
L’elaborazione del dati acquisiti in campo l’ho fatta con il software Agisoft Metashape Pro (software Structure from Motion) che prende fotografie e misure topografichee e le mescola insieme per creare un modello 3D, orientati, scalati, geometricamente robusti e georeferenziati.
Si parte con la nuvola dei punti di legame, nuvola sparsa, fatta dai punti comuni alle immagini, poi si passa alla nuvola densa, fatta dagli stessi punti di legame più un sacco di altri, recuperati dalle foto, per arrivare alla mesh 3D, dove i punti della nuvola densa diventano vertici di triangoli che formano una superficie continua.
Ho elaborato due modelli separati.
Il principale era quello formato dalle foto da drone a cui poi ho unito il modello degli intradossi presi con le fotografie da terra.
Devo dirti che ci sono rimasti alcuni buchi qua e là, soprattutto sotto i cavalletti ed in mezzo alle travi in c.a.
Per quanto possa essere efficace e veloce, in alcuni campi d’uso la fotogrammetria ha pur sempre dei limiti oggettivi.
Il principale è quello di essere una tecnica passiva, ossia puoi costruire il modello 3D solo di quello che si vede (bene) nelle immagini (e non ne basta una, ma ne servono un po’ di più…).
Però il risultato, nel complesso, era ok.
PULIZIA DELLA NUVOLA DI PUNTI
Una volta verificato che i dati acquisiti ed il modello generale fossero ok mi sono un po’ scrollato di dosso l’ansia del fatto che quella cosa lì, da lì a breve, non ci sarebbe più stata e non avrei avuto altre possibilità per fare il rilievo.
Avevo un po’ di giorni per dedicarmi alla pulizia della nuvola di punti.
E sarebbero serviti.
Non era una cosa veloce.
Quando si elabora un dataset di fotografie, scattate secondo varie angolazioni e punti di presa, è probabile che si inquadrino elementi diversi dalla struttura, spesso parecchio lontani.
Nelle foto frontali o in quelle inclinate verso l’alto si vedrà sicuramente il cielo.
Per una struttura “bucata” ci saranno parti disposte su piani diversi ed a varie profondità.
Tutto questo si traduce in un po’ di rumore nella nuvola di punti, attorno alla struttura principale.
Sono punti che ronzano come le api attorno ad una trave o ad un tirante.
O meglio, alla loro ricostruzione.
Se nelle foto c’era parecchio cielo i punti del rumore potrebbero essere colorati di tinte blu.
Così come potrebbero essere verdi se hai fotografato qualcosa che aveva degli alberi sullo sfondo.
Inutile dire che questo rumore va levato.
Per prima cosa, perché sono punti che non c’entrano niente con la realtà.
In secondo luogo perché, lasciandoli, la superficie della mesh, che si basa sui punti della nuvola densa, viene una schifezza.
E quindi è necessario lavorare parecchio sulla nuvola di punti.
I software che le trattano ti aiutano con alcuni algoritmi automatici (filtro di rimozione degli Outliers e del rumore) ma da soli non bastano e serve il paziente lavoro manuale, area per area e sezione per sezione…
Non posso condividere il modello 3D interattivo, ispezionabile e misurabile, delle pile in piedi.
Spero capirai che è una questione piuttosto delicata….
Quello che posso fare è metterti qui sotto uno screenshot del modello 3D.
IL GIORNO DELL’ESPLOSIONE
Credo che le immagini dell’esplosione (demolizione controllata) delle pile 10 ed 11 del vecchio Ponte Morandi le abbiano viste tutti.
Se sei tra i pochi che non l’hanno fatto puoi andare su You Tube e cercare “Ponte Morandi esplosione controllata”.
Questa foto qui sotto è una delle tante presenti dal web.
Non entro nel dettaglio di argomenti che conosco pochissimo (per non dire niente) e ti scrivo solo che è stata un’operazione estremamente delicata e complessa, visto il contesto in cui si inseriva la struttura del Ponte e tutte le criticità connesse.
Il Comune di Genova, insieme a Prefettura, Protezione Civile, Provincia e Forze dell’Ordine (ed a qualcun altro che sicuramente dimentico di citare) ha evacuato un sacco di gente, residente entro 500 m dal ponte, molte ore prima dell’esplosione.
E ne ha autorizzato il rientro solo parecchie ore dopo la fine delle operazioni.
Le attività che ho fatto in quella giornata (lunghissima!) sono state due:
- Riprese video da drone, durante l’esplosione e nei momenti successivi al crollo;
- Rilievo aerofotogrammetrico, qualitativo, delle macerie e della loro disposizione a terra.
RIPRESE VIDEO E LIVE STREAMING DELL’ESPLOSIONE
La ripresa video serviva per la “control room” da cui i tecnici e tutti i responsabili coinvolti nelle operazioni, potevano seguire quello che succedeva in campo.
Grazie all’aiuto del team super specializzato di RINA (coordinato da Giovanni Gambaro, grande uomo e grandissimo professionista, che ringrazio di cuore per aver saputo coordinare attività complesse in un momento molto delicato, senza mai far trasparire o scaricare su altri l’inevitabile tensione del momento) è stata allestita una diretta streaming dedicata per le riprese.
Non ero solo.
Insieme a me c’era il drone di RINA, pilotato da Antonio De Lorenzo, preziosissimo durante tutte le mie attività al Ponte (anche future) perché sempre in costante collegamento e coordinamento con la Torre di Controllo dell’aeroporto di Genova (in zona infatti era presenta l’ATZ aeroportuale ed una No Fly Zone speciale istituita da ENAC subito dopo il crollo del 2018).
Anche a lui vanno i miei ringraziamenti per tutte le aperture e chiusure (anche future) dello spazio aereo controllato.
Dette così, queste operazioni non sembrano poi molto complesse: volo + riprese video + streaming.
Ed allora ti elenco alcuni fattori che hanno complicato un po’ la vita ed alzato la tensione.
- I droni dovevano essere in aria prima dell’esplosione, per posizionarsi per la ripresa, ma non potevamo decollare troppo presto o rischiavamo di esaurire la carica della batteria. Avevamo un timing ed un collegamento diretto con il coordinamento delle operazioni ma non potevamo esitare, tardare o anticipare troppo.
- La zona di decollo ed atterraggio era organizzata sul tetto di un edificio, immediatamente al limite della zona evacuata. Avrei dovuto considerare anche il tempo (e la batteria necessaria per rientrare).
- Nella control room erano presenti, oltre a tutti i tecnici che seguivano le operazioni, anche alcuni Ministri ed esponenti politici del Governo, giusto per aumentare ancora di più la pressione.
- Poco prima della demolizione, il tetto dell’edificio su cui avevamo organizzato il nostro presidio si è popolato di curiosi che volevano seguire tutto quanto da una posizione privilegiata. Fino a qui tutto (o quasi) ok, se non fosse che TUTTI hanno tirato fuori lo smartphone per registrare un video e, qualcuno, streammare una diretta. Questo ha aumentato, non poco, il disturbo elettromagnetico localizzato (misurato oggettivamente con dispositivi specifici). Una volta in volo, durante l’avvicinamento alla posizione di ripresa, il mio Phantom ha avuto una disconnessione con il radiocomando, interrompendo lo streaming e rientrando a casa. Grazie al suo intervento deciso, tempestivo e provvidenziale, Cinzia Pica, è riuscita a portare tutti gli smartphone in modalità aerea, interrompendo il traffico dati, e riportando tutto alla “normalità”.
- E’ stata una delle giornate più calde di una calda estate ed eravamo sul tetto di un palazzo, circondati da cemento e catrame e sotto il sole (già da qualche ora…).
- L’esplosione non era ripetibile. Non era ammesso sbagliare.
E’ andato tutto bene, sia per quanto riguarda le riprese, lo streaming ma soprattutto la demolizione.
I droni hanno continuato a volare, alternandosi, per riprendere dall’alto l’evoluzione della nube di polveri che si è sollevata in aria.
A Genova c’è spesso vento.
In Val Polcevera c’è sempre vento.
Una preoccupazione concreta era la formazione di una nube densa che avrebbe potuto spostarsi a monte o, peggio, verso mare, verso Genova, verso l’aeroporto.
Era importante riprenderla dall’alto per tenerla sotto controllo.
Fortunatamente i sistemi preventivi per la riduzione delle polveri post esplosione (vasche d’acqua, tappeti ammotizzatori ed idranti) hanno funzionato bene.
La nube c’è stata ma non molto densa.
Ed il vento, spirando da mare verso monte, ha scongiurato l’interessamento del fronte mare.
Un paio d’ore dopo il decollo, il drone è atterrato.
Ho scaricato la scheda di memoria (abbiamo registrato le riprese anche se in streaming) e fatto una pausa.
Ecco, questa è stata una delle attività di sorvolo più stressanti e dall’alto tasso di tensione che mi sia capitato di fare…
AERFOTOGRAMMETRIA QUALITATIVA DELLE MACERIE CROLLATE
Nel pomeriggio c’è stata la seconda parte delle operazioni previste, un sorvolo per rilievo aerofotogrammetrico finalizzato a generare un’ortofoto, qualitativa, della disposizione delle macerie a terra.
L’area era ancora interdetta e totalmente off limits (ad eccezione dei tecnici in campo per le misurazioni sull’aria).
Mi sono spinto a piedi fino al limite estremo dell’area accessibile.
Da qui ho lanciato una missione di volo automatica preparata poco prima con UGCS.
Il drone ha volato ai limiti del consentito, sia in quota sia per la distanza dal pilota.
Anzi, in tutta sincerità ti dico che è andato un po’ più lontano (non molto) ma, in coscienza, mi sentivo tranquillo considerando che non c’era nessuno su una superficie di almeno 50 ettari!
Ho scattato foto nadirali.
Le ho processate in campo con il mio portatile e prodotto, sul momento, un’ortofoto.
Non era georeferenziata né scalata precisamente.
Ma era orientata e sufficientemente a posto per fornire subito disponibile una mappa, in alta risoluzione, della disposizione delle macerie.
Impaginata e stampata al volo.
Alle 20:00 sono rientrato in casa.
Ne ero uscito al mattino alle 5:00.
Se conto le ore effettive di lavoro (sorvoli, riprese, aerofotogrammetria, elaborazione dati) non arrivo a 5.
Ma valevano molto di più!
🙂
IL GIORNO DOPO: RILIEVO DELLE MACERIE POST CROLLO
Se il giorno dell’esplosione è stato caratterizzato da un bel po’ di tensione operativa, quello dopo è stato surreale.
Siamo entrati nella zona delle macerie.
Avremmo dovuto rilevarne la disposizione, precisa, e creare un modello 3D.
Sarebbe servito alla struttura commissariale per fornire informazioni quantitative, misurabili e robuste, agli Enti preposti a dare il via libera all’ingresso dei mezzi demolitori in cantiere, per iniziare lo sgombero e la pulizia.
C’era, anche qui, una certa fretta.
Eravamo in 4: Io, Cinzia Pica, sempre presente, e due Antonio.
Antonio De Lorenzo, per il coordinamento delle attività di volo e un altro Antonio (di cui ahimè non ricordo i cognome) per la gestione della sicurezza.
Scarponi, casco, mascherina (usata molto prima dell’era Covid!) e abbigliamento di sicurezza, in quanto non era ancora verificata l’assenza di polveri di amianto (ne sarebbe stata data conferma, dell’assenza, pochissimo tempo dopo).
E, di nuovo, tanto caldo.
Il rilievo programmato era un’attività di acquisizione fotogrammetrica ed elaborazione structure from motion.
Target in terra, misure GNSS e sorvoli con drone.
Qui lo scatto delle fotografie era molto più semplice rispetto al rilievo delle pile in piedi.
La maggior parte delle foto sono state fatte in presa nadirale.
Era quella più significativa.
E poi ho integrato qua e là con un po’ di immagini oblique per le parti che venivano un po’ più fuori rispetto al terreno.
Ho usato un GSD di 2 cm/pixel.
Non ho scattato foto molto ravvicinate.
Avrei potuto.
Ne avrei avuto tempo e l’area non era vastissima.
Ma dovevo fare i conti con i tempi di elaborazione e troppe foto non avrebbero consentito una consegna veloce come mi era stato richiesto.
Sono rientrato alla base alle 16 di Sabato pomeriggio.
Ho lanciato subito l’allineamento delle immagini, elaborato le misure satellitare dei target e sistemato la nuvola di punti sparsa con le coordinate dei target.
Dopo ho avviato l’elaborazione della nuvola densa.
Lunedì l’ho controllata, un po’ pulita (la pulizia è stata molto meno spinta rispetta al modello delle pile in piedi) e consegnata nel primo pomeriggio.
Di nuovo, posso condividere solo uno screenshot del modello 3D.
UNA SITUAZIONE “SURREALE”
Quello che è stato strano di queste attività è stato il contesto.
Silenzio, macerie, idranti che buttavano ancora un po’ d’acqua…
Io non so come possa essere uno scenario di guerra.
E non voglio mancare di rispetto a nessuno.
Ma forse non era poi molto diverso di così.
Da lì a poco, quella mattina stessa, sarebbero entrati in cantiere i vari periti per controllare visivamente la struttura esplosa e per le loro valutazioni.
Per un po’ eravamo noi 4, le macerie ed il silenzio, rotto ogni tanto dal vento che muoveva i teli di protezione lacerati.
Nei giorni successivi le aree sarebbero state “dissequestrate” e sarebbero iniziate le operazioni di pulizia.
Credo proprio che il silenzio assordante di quella mattina non si sentirà più in quella zona della Valle Polcevera…
Ecco, questo è il racconto della prima parte del mio lavoro a Genova.
Da qui in avanti, per tutta la durata della ricostruzione del nuovo Ponte Genova San Giorgio, sono tornato tante volte per attività di rilievo aerofotogrammetrico delle aree di cantiere, finalizzato a supportare le scelte della direzione lavori e del coordinamento della sicurezza.
Ma te ne parlo in un prossimo articolo.
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